Accesso a Internet vietato ai minori ed educazione dei nativi digitali
Impedire ai bambini di accedere a contenuti pubblicati in Internet non adatti ai minori o potenzialmente nocivi per la loro salute fisica e mentale è quasi una sfida, soprattutto per i genitori o i tutori che non hanno una buona cultura digitale.
Tuttavia, vietare completamente l’accesso a Internet non avrebbe senso, sia perché in rete ci sono tantissime risorse dedicate all’educazione e alla formazione dei bambini, sia perché il proibizionismo li allontanerebbe dai pericoli ma allo stesso tempo ostacolerebbe l’apprendimento su come riconoscerli ed evitarli, ovvero su come gestirli in autonomia quando diventeranno più grandi.
Il problema di evitare che i bambini possano accedere a contenuti inopportuni o espressamente vietati non riguarda solamente la navigazione Internet ma anche i videogiochi, nonostante i produttori del settore videoludico abbiano adottato ormai da tempo il metodo di classificazione PEGI (Pan European Game Information), valido su quasi tutto il territorio europeo.
Tuttavia, l’effettiva funzionalità del sistema PEGI e più in generale dei sistemi di classificazione dei contenuti dipende dalla capacità di genitori e tutori di configurare correttamente i dispositivi digitali utilizzati dai bambini per giocare. Occorre, infatti, impostare un particolare tipo di account sulla console da videogioco, ovvero un profilo utente identificato da un nome e una password generalmente denominato “account bambino”, che consente al sistema di filtrare i contenuti in modo automatico per fasce di età sulla base della categoria assegnata ai videogiochi (3 - 7 - 12 - 16 e 18 anni nel sistema PEGI).
La restrizione dei contenuti generici accessibili dai bambini via Internet è invece più complicata almeno per tre ragioni:
- perché manca un sistema di classificazione dei contenuti - impossibile da realizzare a livello generale e difficile da implementare a livello di singole piattaforme, come ad esempio ha fatto Youtube con Youtbe Kids;
- perché ogni produttore software ha il suo sistema di controllo genitoriale (il cosidetto parental control) che generalmente funziona con i propri applicativi ma non con quelli di terze parti;
- perché per garantire una protezione effettiva il software di parental control dovrebbe essere attivato su tutti i dispositivi digitali utilizzati dai bambini, anche quelli a prestito - ad esempio lo smartphone dei genitori - o di amici e compagni di gioco.
In altre parole, non esiste un unico sistema di parental control che funzioni sia sulle piattaforme da videogioco che sugli applicativi per accedere a Internet, né un unico sistema valido per tutti i dipositivi digitali utilizzati dai bambini, come smartphone, computer, tablet e console per videogiochi.
In pratica, quando l’accesso è consentito anche ai bambini ogni singolo gestore di piattaforme software e/o di contenuti digitali implementa un proprio sistema di parental control.
Per usare correttamente i sistemi di parental control occorre capire come funziona l’accesso ai software e ai contenuti digitali, che sono ormai universalmente offerti al pubblico come “servizi” online.
L’accesso alle piattaforme di gestione e distribuzione di software e contenuti digitali è disciplinato da contratti di servizio software che l’utente necessariamente attiva al primo acquisto di un dispositivo digitale o al primo accesso al servizio.
Leggendo i termini e le condizioni dei suddetti contratti si scopre che possono essere attivati solamente dagli utenti che dichiarano sotto la propria responsabilità di avere una età superiore a quella indicata nel contratto stesso, che a seconda dei casi e delle piattaforme di distribuzione di contenuti digitali parte da un minimo di 13 anni (ad esempio Google e Youtube) e varia in base ai paesi.
Qualora il limite di età per l’accesso non fosse indicato nel contratto di servizio questo corrisponde a quello indicato dalla legislazione nazionale per il raggiungimento della maggiore età, ovvero della piena capacità di agire.
Ovviamente, il contratto di servizio o di licenza software non impedisce a terzi di utilizzare quel servizio con il consenso o con le credenziali del titolare. Ad esempio, il servizio di connessione a Internet necessariamente stipulato da un adulto viene utilizzato da tutta la famiglia, inclusi i minori.
Tuttavia, se l’accesso a determinati servizi o contenuti è disciplinato contrattualmente su base personale chi accede a quel servizo con le credenziali di un’altro utente, sia esso un genitore o un tutore, commette una illegalità e la società fornitrice del servizo è esonerata da qualsiasi ulteriore responsabilità.
La maggior parte dei servizi software e di gestione dei contenuti digitali sono ormai configurati per l’accesso attraverso profili personali, non cedibili e non utilizzabili da terzi legalmente, e i sistemi di parental control fanno leva proprio su questa caratteristica applicando restrizioni ad account personali specificatamente progettati per i bambini.
In pratica, viene offerta ai genitori o ai tutori la possibilità di creare degli account bambino, ovvero dei profili utente annessi al profilo principale del genitore o del tutore, sui quali vengono applicate restrizioni che possono essere modificate solamente dall’account del genitore.
Ad esempio, attraverso la configurazione degli account bambino è possibile limitare il tempo totale di utilizzo del dispositivo digitale, stabilire fasce orarie, concedere autorizzazioni manuali o automatiche per l’accesso a determinate app e contenuti, impostare procedure autorizzative e limiti di spesa per gli acquisti online.
Come precedentemente accennato, il filtraggio dei contenuti può essere applicato a contenuti classificati (ad esempio con il sistema PEGI) o a software e contenuti generici non classificati o classificabili.
Nel primo caso, il filtraggio dei contenuti dipende dalle modalità di classificazione ed è automatico ed efficace.
Ad esempio, gli account bambino creati sulle principali piattaforme per videogiochi - XBox, Playstation e Nintendo - accedono a contenuti classificati con il sistema PEGI mentre la piattaforma video Youtube ha creato un apposito canale, Youtube Kids, con contenuti per bambini e ragazzi sotto i 13 anni selezionati in base a un proprio sistema di classificazione.
Nel secondo caso, invece, la metodologia di filtraggio è più complessa e richiede una maggiore attenzione da parte del genitore o del tutore, perché i principali produttori software, come Microsoft, Google e Apple che consentono la creazione di account bambino sulle proprie piattaforme, implementano metodologie e configurazioni necessariamente tarate sui propri prodotti software, ovvero non possono restringere l’accesso a contenuti liberamente diponibili in rete attraverso app di terze parti.
La gestione degli account bambino comporta la configurazione di almeno quattro categorie di restrizioni, che ovviamente si attivano solo se il bambino accede ai dispositivi con le sue credenziali e non con quelle del genitore:
- restrizioni relative al dispositivo digitale ovvero l’impostazione di limiti di tempo ed eventualmente di fasce orarie;
- restrizioni relative ad app e giochi, ovvero autorizzazioni e limiti di tempo per ciascuna app o gioco;
- restrizioni relative ai contenuti accessibili via Internet, ma solo se visualizzati attraverso il navigatore web e le app integrate nel Sistema Operativo;
- restrizioni relative alle spese, ovvero gestione di somme di denaro e procedure autorizzative per eventuali acquisti online.
Il punto 3 necessita di un ulteriore approfondimento, infatti l’accesso a contenuti online non classificati può essere gestito in vari modi:
- autorizzando l’uso di determinate app che o accedono a contenuti filtrati a monte (come ad esempio Youtube Kids) o sono dotate di un proprio sistema di parental control che va configurato preventivamente sull’app stessa (come ad esempio Roblox);
- autorizzando l’accesso a specifiche pagine e siti online, sia inserendo manualmente una lista di indirizzi web che autorizzandoli di volta in volta su richiesta;
- attivando un sistema automatico di filtraggio dei contenuti per adulti, con l’avvertenza che questo tipo di filtri non è mai completamente affidabile e funziona solamente con il navigatore incluso nel sistema (ma generalmente è possibile integrare il filtro vietando espressamente l’accesso a siti e indirizzi web).
In pratica, bisogna stare attenti a non autorizzare app e navigatori web di terze parti che, funzionando in modo autonomo, aggirano il parental control del Sistema Operativo.
Infine, un ultima avvertenza riguarda la pluralità dei Sistemi Operativi dei dispositivi digitali e la proliferazione di piattaforme accessibili ai bambini che comporta la necessità di creare più account bambino per ogni bambino, ad esempio uno Microsoft, uno Google, uno Apple, uno Roblox e così via.
In alternativa, occorre verificare le compatibilità e se possibile configurare un sistema di parental control in grado di funzionare su più Sistemi Operativi o piattaforme online. Ad esempio, Microsoft consente di impostare determinate funzionalità di parental control anche sugli smartphone Android di Google.
In conclusione, la tutela dei minori nel contesto dei cambiamenti generati dalla rivoluzione digitale mette a dura prova le competenze tecniche di genitori e tutori e, più in generale, evidenzia una diffusa mancanza di cultura digitale nella società italiana.
Ad esempio, il settore videoludico viene arbitrariamente assimilato al gioco inteso nella sua accezione più infantile piuttosto che a forme di intrattenimento come il cinema, la televisione, la musica e la letteratura. Accade allora che la sistematica sottovalutazione del videogioco in quanto medium, induca genitori e tutor a non applicare ai videogiochi le stesse regole di controllo genitoriale che invece normalmente applicano al cinema e alla televisione.
Questa carenza di cultura digitale si rileva anche nella superficialità di certa cultura popolare, spesso avallata dai mass media, che ad esempio tende a considerare i cosiddetti “nativi digitali”, cioè le generazioni nate dopo la diffusione delle tecnologie digitali e di Internet, come individui geneticamente dotati di cultura digitale, come se la cultura fosse un fatto istintivo e non dipendente dall’apprendimento.
Probabilmente, gli adulti che si crogiolano in questo fraintendimento sono vittime di un brutto scherzo giocato loro dalla paura del cambiamento, dalla mancata accettazione di un mondo che cambia troppo velocemente, un mondo a cui non sanno dare risposte per loro stessi figuriamoci per le nuove generazioni. Purtroppo, i rischi generati dai cambiamenti in atto pesano e peseranno molto più sulle nuove generazioni che su quelle precedenti, in particolare se ai bambini non viene insegnato come usare correttamente gli strumenti digitali e come apprendere e sviluppare la propria cultura digitale.
E poiché la trasmissione della cultura chiama in causa tutto il sistema educativo, non solamente l’istruzione e la formazione, diventa indispensabile il supporto della famiglia e delle altre istituzioni educative e culturali.